Pakistan
Era il 17 gennaio 1991 e le truppe americane entrarono in Iraq. Quello stesso giorno, con un atto di fiducia nell’umanità, acquistai la guida Lonely Planet Pakistan. Quasi un gesto scaramantico contro l’atmosfera cupa della guerra. Sei mesi più tardi viaggiavamo sulla Karakorum Highway, tra frane e temperature torride, nel canyon scavato dall’Indo. I suq di Rawalpindi e la moschea moderna di Islamabad, le donne velate di Peshawar e quelle dagli occhi azzurri di Hunza, le soste lungo la strada con la cottura nel pane nei forni interrati o il tè scurissimo, in ebollizione insieme al latte. Sono state le persone la vera sorpresa del Pakistan, molto diverse a seconda delle zone, in genere curiose e gentili, anche se il loro aspetto risultava minaccioso. Omaccioni dalla barbe tinte dall’hennè con l’inseparabile Kalashnikov incantati davanti alle clip di Bollywood o con in mano il primo gelato Carpigiani delle montagne dell’Hindukush. Quasi surreale. Poi c’è la natura che incanta, nelle oasi di montagna con i frutteti di albicocchi, le praterie a 4000 metri coperte di stelle alpine, i ghiacciai e le vette innevate che brillano anche nella notte. E c’è l’avventura, con le frane che interrompono le strade, il passaggio a piedi tra massi che cadono verso il vuoto, il bus che perde l’albero di trasmissione, la pompa di benzina vuota.
Per scrivere la guida di un paese che ho amato a prima vista sono tornata per tre anni di seguito e la prima impressione di fascino non è mai cambiata. Quello che poi è cambiato è stato il mondo. Le torri gemelle, l’Afghanistan, la seconda guerra in Iraq, le tensioni mai sopite con l’India. Oggi il Pakistan non sembra essere un paese per turisti. E del resto la guida è vecchia di vent’anni e fuori catalogo. Ma a me piace sempre pensare che basta volerlo, per tornare a camminare sui sentieri a fianco dei canaletti che rendono verdi le oasi del Karakorum.
ClupGuide
294 pagine
1995